Il regista australiano Matthew Salleh e sua moglie Rose Tucker hanno realizzato un bellissimo documentario sulla maniera di fare il barbecue in vari posti del mondo.
La brace che accomuna ed i vegetariani sicuramente si potrebbero sdegnare per queste montagne di carni: dal bue alla marmotta, dal pollo al maiale, dai minuscoli spiedini ad interi animali uccisi, scuoiati, ripuliti, tagliati ed abbrustoliti.
Ma il film non ha nulla di amorale o di atroce, anche se di fatto si tratta di una contestatissima maniera di alimentarsi. E’ un documento intelligente ed esteticamente pregevole. E’ un itinerario antropologico, etnologico, in cui si scoprono volti, sorrisi, modi di vivere e di pensare, maniere di abitare e di attraversare il mondo.
Le braci fatte di legna di tanti tipi e di carboni ottenuti con metodologie diversissime nelle varie latitudini.
In Giappone, in Messico, in Svezia, in sud Africa, in Texas, in Lapponia o alle Filippine, rituali lunghi e complessi, fornaci scavate o fori in una roccia, griglie improvvisate o enormi estensioni di carboni ardenti e curati meticolosamente quasi fosse un culto religioso.
E di fatto le conversazioni con i personaggi incontrati erano tutte accomunate dall’idea e dal desiderio di incontrarsi, offrire e condividere, divertirsi ed invitare, far festa e svagarsi.
Una maniera ancestrale, arcaica, che dalla notte dei tempi fino ad oggi, racconta qualcosa dell’uomo che ha acceso un fuoco e vi ha cotto la preda della sua caccia per nutrirsi, per sopravvivere.
14 novembre 2017