Al Riot studio, Napoli, si respira aria di incroci culturali ed artistici. Il luogo magico, Palazzo Marigliano in via san Biagio dei Librai 39, risalente al XVI secolo, ha una lunga storia di avanguardie di sinistra negli anni ’60/’70, oggi location contemporanea, fatta di architettura rinascimentale, restyling minimale. Rilassati, ma attivi e esigenti, i patron, Guido Acampa, artista visivo, fotografo, regista cinematografico e produttore di eventi mediatici insieme con Francesca Nicolais, esperta in design e comunicazione, oltre che docente universitaria, hanno ridato vita a questo luogo, abbandonato per un certo tempo, e da alcuni anni ospitano ed ideano una molteplicità di incontri, nel campo del design, arte, video, nuovi linguaggi di un popolo nerd ed affini, che si spalmano tra una cultura umanistica critica ed un universo teconologico raffinato.
Nel giardino, con alberi secolari e vibrazioni caraibiche, ci si arriva salendo una scala in piperno, inondata da odori ciclamino di un glicine storico. Lì ci si mescola, ci si incontra, si beve una birra fresca e ci si avvicina all’evento del giorno, preparati in maniera giusta. Sabato 25 marzo il riot, in collaborazione con wakeupandream, presentano Gareth Dickson. Il sodalizio tra Marco Stangherlin, ideatore di wakeupandream, che dal 2002 organizza eventi musicali a Napoli ed in Campania e dal 2003 live tours in Italia, ed il riot, è ormai in perfetta sintonia. Gli uni e l’altro conoscono la regola delle fusioni culturali e innescano nel pubblico l’aspettativa di un ascolto di musica di ricerca in un luogo di ricerca multiartistica.
Il concerto di Gareth, un unico suono, con una forte eco acustica di rimbombo, che spezza la delicatezza del fraseggio alla chitarra. I suoi pezzi si sono succeduti con una sequenzialità da progettazione in studio, tutti collegati da quest’ aria sognante, con le pause lunghe per memorizzare le note e aggiungere momenti diversi che, dal virtuosismo molto accentuato si diluiscono in stiramenti vagamente extraterrestri, immaginari. La voce, le parole dei brani, volutamente semincomprensibili, in quanto voce aggiunta come suono, come nota gutturale, organica, per dare consistenza materica ad un suono spesso vago, inafferrabile. Il momento del brano tratto dal suo ultimo lavoro, Orwell court, una interpretazione personalissima del pezzo culto “Athmosphere” dei Joy Division, anno 1988, che nella versione del gruppo è un manifesto di drammaticità e durezza punk/rock, in Dickson si depura, diventa un filtro che trattiene le scorie del pensiero anni ’80 ed approda nel terzo millennio, facendo da solo con la sua sola chitarra, arpeggi delicati, frasi spezzate sussurrate, fornendoci un ricordo di un altro tempo, proteggendoci da un pericolo.
Gareth Dickson viene da Glasgow, luogo d’arte, luogo di storia e di eleganze architettoniche. Luogo di eventi della contemporaneità e magari luogo che cercherà una sua autonomia dalla incombente GB. Forse anche luogo dove si può riflettere su storie passate e future e coniugarle. E la musica da quelle parti e dintorni esiste e si fa rispettare e, dopo essere stata nel 1990 capitale della cultura, Glagow è stata insignita dall’Unesco come Città della musica, con numerosissimi eventi musicali tra cui Celtic connections, genere con cui Gareth ha qualcosa da spartire in qualche punto della sua chitarra.
27/3/2017