Ho visto recentemente un documentario
“HUMAN” di Yann Arthus-Bertrand, prodotto in
Francia, anno 2015 ed uscito nelle sale nel
febbraio 2016.
Il regista ed autore ha realizzato un’opera
a dir poco strepitosa.
Nel giro di due anni ha intervistato oltre
duemila persone provenienti da tutti i paesi
del mondo ed ha posto domande che allo
spettatore del film non giungono perché
silenziate, perché l’unica cosa che conta è
la risposta. La risposta è un volto, uno
sguardo, un colore della pelle, un
copricapo, degli ornamenti, la forma delle
labbra, la forma degli occhi, la mancanza
dei denti o una bella chiostra, il vigore
della voce, la tristezza, i lunghi silenzi,
le pause, gli imbarazzi, l’estroversione, la
chiusura, la fiducia, la prospettiva, il
sogno, la delusione, la sintesi, la paura,
l’arroganza, il pentimento, il vuoto, il
dubbio. Nonostante tutto questo nulla è
scontato, pur se uno di questi sentimenti
è visibilmente prevalente, le risposte sono altrove,
sempre centrate, amare, felici, tristi, ma
focalizzate. La capacità dell’artista di
rendere questi frammenti di umanità un unico
cuore, tutte anime sorelle incastonate nel
paesaggio mondo che il nostro regista ci
pone come sfondo visto dall’alto dove
minuscoli esseri sfilano in
innumerevoli attitudini, lavoro,
attraversamenti, stasi, intrattenimenti,
faccende, rituali, cavalcate. Oppure la
natura appare da sola con la sua forza e la
sua immensa bellezza ed anche i suoi violenti
accanimenti.
Un artista è tale quando ci conduce, con
delicatezza, in una visione universale,
quando non ci fa sentire soli, quando parla
al cuore di tutti, quando spinge la mente
oltre il confine della iterazione e della
trappola, quando non pretende di dare
risposte, né di narrare, ma di farci sentire
una fitta nelle tempie, di aprirci la vista ed il
diaframma e invitarci a guardare e respirare
più liberi.
30/3/2017